DOMENICA 28 GENNAIO 2018 – CELEBRAZIONI UFFICIALI GIORNO DELLA MEMORIA

DOMENICA 28 GENNAIO 2018 – CELEBRAZIONI UFFICIALI GIORNO DELLA MEMORIA

GIORNO DELLA MEMORIA

CELEBRAZIONI UFFICIALI DOMENICA 28 GENNAIO ORE 11.00

CIMITERO MAGGIORE GALLARATE

Evento partecipato da numerosi cittadini e varie rappresentanze Istituzionali e politiche. Dopo una breve introduzione alla manifestazione del Pres. di Anpi Gallarate M. Mascella, che ha ringraziato tutti i presenti ed in particolare i Rappresentanti dell’Amm. Comunale, il Pres. del Consiglio Donato Lozito, l’Ass.re all’Urbanistica Alessandro Petrone, l’Ass.ra alle Attività Produttive Claudia Maria Mazzetti, e coralmente tutti gli esponenti di vari Partiti presenti, nonchè la Rappresentanza degli Studenti delle scuole cittadine, è intervenuto con un apprezzato saluto il Pres. Lozito, al termine del quale l’Oratrice Ufficiale designata, Stella Casola, ha pronunciato il discorso commemorativo, che più avanti riproduciamo. Sono stati deposti fiori sia da Anpi che dai rappresentanti delle Istituzioni, che hanno così voluto ribadire la loro condivisione al ricordo del Giorno della Memoria.

Introduzione del Pres. Mascella:

Nell’introdurre questa celebrazione che Anpi rinnova ogni anno fin dalla entrata in vigore della Legge 20 luglio 2000, n. 211, vorrei rammentare ancora una volta come la legge stessa, altamente meritoria per i suoi contenuti, ne raccomandi la sua applicazione, promuovendo “…cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.”

Ma non siamo qui perché una legge ce lo raccomandi: l’Anpi lo fa da sempre, da quando nell’ormai lontano Giugno del 1944 venne fondata sui principi e valori che avevano guidato i Partigiani e gli Antifascisti nella lotta contro il nazifascismo oppressore ed invasore.

Molte furono le vittime della persecuzione e successiva deportazione, in particolare gli ebrei, che ne pagarono il prezzo più alto. Accanto a loro, per restare nella provincia di Varese, i deportati politici furono ben 132, tra i quali una donna. Il 60% di essi non fecero ritorno dal viaggio della morte: e undici tra loro cittadini di Gallarate che oggi intendo ricordare:

  1. BARDELLI LUIGI,
  2. BESANI ERMANNO,
  3. BONICALZA EMILIO,
  4. BOSSI AMBROGIO E CARLO,
  5. BRIVIO PAOLO,
  6. CHIORRA LUIGI,
  7. FOSSI GIUSEPPE,
  8. FILIPPINI GEROLAMO,
  9. GONZATTI FRANCO,
  10. MARCHESI CARLO.

I loro nomi si aggiungono alle vittime della più complessiva ferocia nazista che, come sappiamo, si scatenò su chiunque fosse considerato, per altro avviso, “diverso”.

Altri nomi sono incisi sul Monumento ai Partigiani e Deportati ad imperitura memoria, in altre occasioni più volte citati.

Non posso però esimermi dalla esecrazione per il gesto vile ed anti istituzionale compiuto a Busto Arsizio dai cosiddetti “giovani padani” con il rogo appiccato alla immagine di Laura Boldrini che rappresenta la terza carica istituzionale dello Stato. E oggi vi sarà una manifestazione in difesa della legalità a Busto Arsizio alle ore 14.00.

Michele Mascella

Gallarate, 28 Gennaio 2018

A seguire, il Discorso Celebrativo Ufficiale della Oratrice Stella Casola:

Giornata della memoria: il dovere del ricordo per dare voce ai giusti della storia

Ieri era il giorno della memoria, il giorno della presa d’atto che, nell’epoca più buia della storia, ad agire fu una responsabilità collettiva e non quella di un ristretto numero di pazzi gerarchi. Oggi diamo un pensiero senza tempo a chi non ha avuto voce, a milioni di vittime della cattiveria di nazisti e fascisti, di arroganti picchiatori che indossando giacche di potere hanno portato l’umanità a toccare l’abisso. Noi abbiamo il dovere del ricordo, perché solo restando memori e vigili davanti ai mille volti che i nazifascismi assumono anche oggi, rendiamo un minimo di giustizia a milioni di innocenti. Ogni nostra azione, scelta, parola, posizione presa o non presa ha importanza, e deve tendere alla giustizia. Perché chi salva una vita, salva il mondo intero, ci insegna il talmud. Ricordiamo, perché questo è stato, e perché questo è.

Oggi, domani, tra cento anni, ricordiamo: perché siamo antifascisti, perché siamo ebrei, comunisti, siamo slavi e omossessuali, perché siamo noi, essere umani liberi di vestire la nostra identità senza paura, liberi di essere testimoni di una umanità coraggiosa. Ricordiamo perché siamo partigiani, perché oggi come ieri, abbiamo il coraggio di prendere posizione, di alzare la testa davanti alle ingiustizie, e prendere la parte giusta. Non c’è nessun destino già scritto, nessun volere supremo o potere superiore che guida la storia del mondo: la storia la fanno i partigiani, chi si alza e prende parte, e non resta in disparte. Oggi ricordiamo loro, quelli che presero parte.

Tanti furono quelli che invece stettero in disparte, che per paura e per indifferenza coltivarono solo il proprio orticello; tanti coloro che stettero zitti, che trovarono il loro modo di sopravvivere in una situazione di guerra, dove anche il tuo vicino diventa tuo nemico. Tanti coloro che non vollero, o non seppero, riconoscere il fratello, la sua sofferenza, e per paura girarono la faccia alla miseria umana, e ne divennero parte, la alimentarono la miseria umana.

Paura, convenienza, indifferenza, a volta anche vantaggio. Tante cronache familiari e locali narrano una storia che non amiamo sentire, una storia di adesione alla norma, al potere, di accettazione di sistemi violenti e profondamente ingiusti: oggi dobbiamo ricordiamo anche questo, ma perché?

I nazifascismi in Europa fecero milioni di vittime. Le vittime complessive furono 54 milioni, di cui 30 erano civili. Circa 15 milioni di persone persero la vita come risultato diretto del processo di arianizzazione nazista dell’Europa. Oggi ricordiamo perché a dire queste cifre restiamo inorriditi, ma non sempre riusciamo a capire esattamente cosa vogliano dire; i discorsi sono inutili a comprendere la sofferenza, le parole addolciscono la realtà: milioni di morti. La parola milioni non è neppure brutta, suona quasi dolce. Ma cosa significa davvero lo si comprende quando si va in un Museo della Memoria. A Gerusalemme c’è il memoriale dell’Olocausto (lo Yad VaShem, che in ebraico significa “un monumento e un nome”), c’è una sala che prova dare corpo e voce a questi numeri, leggendo i milioni di nomi. Per ascoltare solo i nomi dei bambini sotto i 16 anni si deve restare all’interno della sala per 40 giorni, e per sentire i nomi di tutte le vittime quasi un anno.

E anche noi oggi comprendiamo il significato della barbarie nazifascista, mentre davanti al monumento di commemorazione dei caduti diciamo i loro nomi, e così ridiamo voce ai giusti. Lotte Froehlich Mazzucchelli (Meina, arrestata, uccisa con un colpo alla testa e gettata nel lago), Clara Pirani Cardosi (Auschwitz, uccisa nelle camera a gas), Luigi Bardelli (Gusen), Ermanno Besani (Flossenbuerg), Emilio Bonicalza (Dachau), Ambrogio Carlo Bossi (Mauthausen), Paolo Brivio (sopravvissuto), Chiorra Luigi (sopravvissuto), Giuseppe Fossi (Mauthausen), Gerolamo Filippini (sopravvissuto), Franco Gonzatti (sopravvissuto), Carlo Marchesi (Flossenbuerg), Giovanni Suglia Passeri (Flossenbuerg).

Ecco cosa significa “milioni di vittime”, ecco cosa ha significato la violenza e l’odio di nazifascismi: violenza, pestaggi, rastrellamenti; ha significato perdere un figlio, perdere la moglie, perdere l’intera famiglia.

Oggi commemoriamo le vittime, chi si è trovato sgretolato da un ingranaggio mostruoso e chi ha provato ad opporsi e a fermarla quella macchina di morte. Commemoriamo i morti per ricordarci la vita, ricordiamo la guerra e guardiamo alla pace. Ricordiamo perché saremmo potuti essere noi, in quell’infernale mostro che è stato il nazifascismo.

L’Europa era nazifascista, e lo è stata anche l’Italia, lo sono stati anche gli italiani “brava gente” che si abituarono; noi ci abituammo piano piano a considerarci diversi, migliori, ci abituammo a separare l’umanità in categorie, fino ad ucciderla. Eravamo tutti normali, e con estrema normalità non ci siamo fatti domande, abbiamo abbassato la testa e lavorato a ingrandire quel solco che divideva e sgretolava l’umanità. Noi e gli altri, le razze, quella pura e quella impura.

Ricordiamo perché questa adesione all’odio e alla guerra è arrivata pian piano: discriminazione, violenza, ghettizzazione, isolamento. E allora ricordiamo perché la domanda che dobbiamo porci non è solo come sia potuto accadere a loro, ma come facciamo a non finirci noi.

Ogni gesto è rilavante, ogni parola, ogni presa di posizione: non esistono scusanti al fascismo, non esistono scusanti alla violenza del fascismo, e neppure all’indifferenza al fascismo. E allora guardiamo a questi nomi di donne e uomini coraggiosi: voi che avete preso parte alla storia, avete combattuto i nazifascisti, partigiani di pace, avete rischiato, la vita, gli affetti, la famiglia; non avete abbassato la testa, e combattuto per la giustizia. Guardiamo a voi e ci prendiamo in carico il dovere del tramandare, sentiamo le vostre parole e leggiamo i vostri diari con il desiderio di prendere la staffetta, di ereditare il compito della memoria, perché voi non siate gocce nel mare.

Ricordare è smascherare l’ipocrisia, è svelare la direzione a cui tende la violenza e la rabbia, l’odio e le divisioni che oggi crescono e vengono alimentate: ricordare è mantenere in vita il senso dell’essere partigiano.

La storia va conservata e mantenuta in vita: per farlo serve il ricordo del passato, ma soprattutto serve un’utopia per il futuro. E la nostra utopia è la pace. L’oblio, il distacco e il dimenticare portano alla guerra. Come possiamo tendere alla pace, fare della pace la nostra utopia, se nessuno ricorda la guerra?

L’indifferenza, l’apatico adeguarsi alla normalità che hanno permesso l’orrore della Shoa, hanno come unico antidoto la presa di posizione: ricordare è essere partigiani, essere ribelli.

La Shoa non è iniziata con le camere a gas, con i rastrellamenti, gli stupri e i campi di sterminio. Questi sono stati l’esito di un processo di normalizzazione della violenza e dell’odio.

“Se sei ebro, accelera” questo stava scritto vicino alle curve pericolose nella Germania agli inizi del nazismo: una battuta, il nazismo è iniziato con una battuta. Si è normalizzato: chi ha paura di una battuta? È solo una ragazzata! Un gesto goliardico! Quante volte sentiamo queste giustificazioni per atti violenti. La violenza non è mai una questione di goliardia, e richiede una risposta decisa.

Allora ecco il senso della memoria oggi: ricordiamo chi non è stato in silenzio, chi non ha abbassato lo sguardo davanti alle ingiustizie, chi non ha riso a battute goliardiche, chi ha compreso il senso di responsabilità che ognuno di noi porta nei confronti dell’altro, chi ha preso parte alla storia, contro i violenti, contro i fascisti, per la giustizia. Ricordiamo chi non si è allineato alla norma, al pensiero forte; chi ha avuto il coraggio di criticare il potere.

E ricordando loro, pensiamo a noi: noi lo avremmo fatto? Noi alziamo lo sguardo e affrontiamo la sofferenza del fratello? Lottiamo per opporci alle ingiustizie? Noi avremmo dato la vita per la pace? Saremmo stati partigiani?

Troppi segnali ci dicono che quella banalizzazione del male che rese possibile l’odio e la violenza nazifascista è ancora presente oggi, nella nostra società. E allora il dovere più grande che abbiamo nei confronti delle vittime della Shoah è quello di restare vigili, mai silenziosi dinnanzi ai mille volti che il nazismo e il fascismo assumono e stanno assumendo nella storia: dittature militari, pulizie etniche, bambini-soldato, sfruttamento, discriminazioni, strumentalizzazione della sofferenza umana. Sono tutte maschere di uno stesso volto. Abbiamo il dovere morale di adottare un’etica della responsabilità, delle nostre azioni e delle nostre non-azioni, ricordandoci che sì, chi salva una vita, lo salva il mondo intero. Ascoltiamo l’urlo di dolore di chi sopravvive alle traversate della morte, guardiamo i suoi occhi spenti, e ascoltiamo la sua voce tremante.

E allora oggi, come ieri e per cento anni ancora, alziamo lo sguardo, accorgendoci della sofferenza del fratello, lottando contro l’ingiustizia, contro l’odio, per abbattere il muro della discriminazione e dell’isolamento, prendiamo parte nella storia. La parte giusta, e agiamo per la pace. Come fare lo sappiamo, dobbiamo solo avere il coraggio di ricordare le storie di coloro che l’hanno fatto, e diventare anche noi partigiani di pace, oggi.

Stella Casola

Gallarate, 28 Gennaio 2018

 

p.s.: per le foto, clicca qui

Condividi questo post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *