FESTA DELLA LIBERAZIONE 25 APRILE 2017

FESTA DELLA LIBERAZIONE 25 APRILE 2017

APPELLO DELL’ANPI PER IL 25 APRILE

Il 25 aprile è la festa di tutte le italiane e gli italiani. Delle loro radici e del loro futuro. Ricordiamo i combattenti per la libertà, i loro sogni di democrazia, uguaglianza e felicità, il portare avanti con coraggio e tenacia la loro speranza di un Paese civile, giusto, solidale. Festeggiamo la Costituzione nel 70° anniversario della sua approvazione. Quello straordinario lavoro di concordia e responsabilità che condusse alla scrittura delle regole e della sostanza democratica della vita collettiva. Principi e valori realizzati solo in parte se guardiamo alla situazione complessiva dell’Italia dove un diritto elementare, come quello al lavoro, in particolare per i giovani, è disatteso, dove l ’attuale modo di far politica per lo

più allontana, invece di stimolare e promuovere la partecipazione popolare, dove l ’orizzonte antifascista non è ancora pienamente patrimonio dello Stato in ogni sua espressione.

Dobbiamo essere uniti e tanti. A trasmetterci la voglia di essere parte attiva dell’irrimandabile processo di attuazione integrale della Costituzione, di contrasto ai troppi neofascismi che impazzano nelle strade e per i l web illudendo una parte delle giovani generazioni, di costruzione di una diffusa e forte cultura del dialogo, della solidarietà, della pace.

Dobbiamo darci appuntamento per tutti i giorni a venire. Il 25 aprile rappresenti un impegno quotidiano a sentirci una comunità in marcia verso una democrazia realizzata fino in fondo.

Con l’entusiasmo e le capacità di ognuno.

Buona Liberazione.

 

La Manifestazione

Le Celebrazioni del 25 Aprile 2017 per la Festa della Liberazione hanno seguito l’ormai consolidato protocollo istituzionale che da sempre governa tutte le fasi della manifestazione: dalla deposizione delle corone di alloro nel Cimitero Urbano, intervallate dalla celebrazione della S. Messa, al corteo che ha sfilato per le vie cittadine sostando prima in p.zza Risorgimento per l’omaggio ai Caduti di tutte le guerre per concludersi in L.go Camussi, davanti il Monumento alla Resistenza, con successivi interventi dei Relatori previsti.

Il Pres. di Anpi Gallarate M. Mascella, dopo i dovuti ringraziamenti rivolti ai cittadini e a tutte le Autorità presenti a vario titolo, e dopo aver letto due brevi comunicati di Anpi (che di seguito si riproducono), ha chiamato gli studenti per la lettura dei loro elaborati: studenti dei quali non disponiamo di nomi e di appartenenze scolastiche meglio precisate. Tra loro, gli Alunni della V A Scuola Primaria “C. Battisti” dell’I.C. Padre Lega hanno voluto regalare all’Anpi un graditissimo fumetto relativo alla tragica vicenda di Luciano Zaro, insieme alla scheda relativa al progetto CLIL “Build the World”.

Gli Appelli di Anpi letti da Mascella:

FACCIAMO DI QUESTO 25 APRILE UN GRANDE APPELLO PER LA PACE

Questo è un appello urgente per la pace. Un appello alla civiltà suprema del dialogo, della sua umanità, della sua intelligenza. Leggiamo e apprendiamo di bombe, di grandi eventi nucleari, di raid preventivi. Un irresponsabile e impressionante gioco alla guerra che deve essere subito fermato. Chiediamo con forza alle Istituzioni internazionali, ai Governi del mondo che si metta a tacere l’assurdo di queste intenzioni che porterebbero a effetti disastrosi e di morte già tragicamente vissuti. Facciamo appello alle cittadine e ai cittadini affinché si mobilitino per diffondere il piu’ possibile voci e iniziative di pace, anche in nome della nostra Costituzione che, all’Art. 11 della Costituzione nata dalla Lotta di Liberazione, sempre ci ricorda che

“l’Italia ripudia la guerra”.

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APPELLO DELL’ANPI PER IL 25 APRILE

Il 25 aprile è la festa di tutte le italiane e gli italiani. Delle loro radici e del loro futuro. Ricordiamo i combattenti per la libertà, i loro sogni di democrazia, uguaglianza e felicità, il portare avanti con coraggio e tenacia la loro speranza di un Paese civile, giusto, solidale. Festeggiamo la Costituzione nel 70° anniversario della sua approvazione. Quello straordinario lavoro di concordia e responsabilità che condusse alla scrittura delle regole e della sostanza democratica della vita collettiva. Principi e valori realizzati solo in parte se guardiamo alla situazione complessiva dell’Italia dove un diritto elementare, come quello al lavoro, in particolare per i giovani, è disatteso, dove l ’attuale modo di far politica per lo

più allontana, invece di stimolare e promuovere la partecipazione popolare, dove l ’orizzonte antifascista non è ancora pienamente patrimonio dello Stato in ogni sua espressione.

Dobbiamo essere uniti e tanti. A trasmetterci la voglia di essere parte attiva dell’irrimandabile processo di attuazione integrale della Costituzione, di contrasto ai troppi neofascismi che impazzano nelle strade e per i l web illudendo una parte delle giovani generazioni, di costruzione di una diffusa e forte cultura del dialogo, della solidarietà, della pace.

Dobbiamo darci appuntamento per tutti i giorni a venire. Il 25 aprile rappresenti un impegno quotidiano a sentirci una comunità in marcia verso una democrazia realizzata fino in fondo.

Con l’entusiasmo e le capacità di ognuno.

Buona Liberazione.

A seguire, l’intervento del Sindaco Andrea Cassani che, come lo stesso Sindaco ha esordito, ha voluto essere estemporaneo e non commemorativo: lo riproduciamo per correttezza integralmente, sottolineando come abbia suscitato, per alcune affermazioni subito rilevate da una parte del pubblico presente, una corale (legittima e democratica) protesta, per la quale lo stesso Mascella è dovuto intervenire per permettere al Sindaco di terminare il suo discorso, che qui riproponiamo:

 

Intervento del Sindaco Andrea Cassani

Autorità militari, religiose e civili, ANPI, associazioni d’arma e combattentistiche, cittadini e studenti,
vi ringrazio sin d’ora per l’ascolto di cui mi auguro mi onorerete. Vi svelo subito che non farò né una commemorazione perché, non disponendo di ricordi diretti, non vorrei scadere nella retorica né leggerò una classica orazione preconfezionata.
Invece, ritenendo opportuno esprimere davvero la mia opinione, conscio dello stupore talune mie affermazioni irrituali potrebbero destare, non mi sottraggo ad alcune riflessioni che questa occasione mi ispira.
Innanzitutto si leva alto il mio sentimento di gratitudine verso tutti i presenti, verso i familiari dei caduti, che salutiamo con affetto perché a noi tocca la sorte di interrogarci sul valore delle conquiste di libertà e democrazia delle donne e gli uomini della Resistenza.
Il nostro compito non è più solo quello di ricordare, perché ormai sono passati 72 anni da quella data, ma di completare la conoscenza di quegli avvenimenti narrando le conquiste che ne sono derivate.
È giusto ricordare i morti che hanno combattuto per liberare la patria dal nemico straniero ma il miglior ricordo non può che passare dal comprendere l’insegnamento che è costato il sacrificio di tanti innocenti. Nell’ultimo secolo migliaia e migliaia di vite e di famiglie sono state spezzate per combattere la prevaricazione e l’invasione della propria terra.
Capirne il significato è rendere davvero onore a tutte le giovani vite spezzate non vanificando il loro sacrificio. Tanto sangue per far tornare il popolo ad essere sovrano, per respingere i popoli invasori, difendendo i sacri confini e ora davanti alla cessione della sovranità e alla profanazione dei nostri confini, non battiamo ciglio.
Per quanto mi riguarda questa celebrazione (come altre) viene sempre più spesso strumentalizzate come fossero delle bandiere politiche sbiadite da sventolare una volta all’anno ma senza approfondire ciò che è successo e perché è successo. E questa mia opinione scaturisce anche da alcune frasi che ho letto e che ritengo vergognose, emblema di una politicizzazione di un evento importante per la storia del Paese: “i morti non sono tutti uguali”. Questa è una frase vile.
Per rendersi conto della viltà di talune affermazioni dobbiamo provare a proiettarci con l’immaginazione negli anni ’40, dove non c’era internet, non c’era la televisione e dove i giornali e la radio non divulgavano un’informazione libera. In quegli anni se un quindicenne o un diciottenne veniva chiamato (o addirittura costretto) a combattere, potrà anche aver combattuto per la fazione “sbagliata”, ma l’ha fatto in buona fede con la stessa dignità e con lo stesso coraggio di chi era nella fazione “giusta”.
E sulla fazione “giusta” o “sbagliata”, a 72 anni dalla fine del conflitto (ma, sottolineo, non dalla fine delle uccisioni), è anche opportuno guardarsi negli occhi e ammettere che di solito la storia la scrive chi vince e che quindi molto spesso la fazione “sbagliata” è quella che ha perso.
Voler rappresentare la storia per quello che è, e non solo per quello che c’è scritto sui libri di testo, non è ledere la maestà dei tanti partigiani che hanno contribuito a liberare anche la nostra Città ma è trasmettere un ricordo trasparente e non posticcio alle generazioni del futuro. Voglia di libertà, voglia di democrazia e valore: questa è l’eredità sincera di chi ha sacrificato la vita e strumentalizzarla colorando politicamente qualche eroe partigiano non rispetta il sacrificio di quelle vite. Sono contento delle parole dell’ANPI che vorrei enfatizzare: “Il 25 aprile è la festa di tutte le italiane e gli italiani. Delle loro radici e del loro futuro. Ricordiamo i combattenti per la libertà, i loro sogni di democrazia, uguaglianza e felicità”.
Due anni fa, l’attuale Direttore di Repubblica, Mario Calabresi scrisse: “Sarà mai possibile avere una festa nazionale che sia davvero di tutti, com’è il 14 luglio per i francesi o il 4 luglio per gli americani, un giorno in cui l’orgoglio e l’appartenenza vincano sulle divisioni e le polemiche? La Festa della Liberazione è stata tormentata per molti anni dagli scontri ideologici, è stata impropriamente usata come strumento di lotta politica e come arma per fare i conti non con la storia ma con l’attualità”. Calabresi sostenne inoltre che, se non si vuole scadere nella retorica celebrativa si può fare davvero memoria, con passione, onestà intellettuale e spirito costruttivo a patto di affrontare ogni aspetto, anche le zone d’ombra della Resistenza.
Un altro importante contributo sul tema della memoria lo diede Claudio Pavone, morto l’anno scorso all’età di 96 anni, egli partecipò alla Resistenza prima a Roma, con il Partito socialista, e poi (dopo alcuni mesi di carcere) a Milano, in un piccolo raggruppamento di sinistra. Nonostante questo fu libero e scevro da pregiudizi nel definire lo scontro che ha portato alla liberazione non solo una guerra di liberazione dai nazifascisti, ma anche una guerra di classe e soprattutto una guerra civile tra italiani di segno opposto.
Pavone affermò in modo sagace che “la memoria collettiva tende a seppellire tutto ciò che la angustia”. E la guerra fratricida combattuta in Italia tra il 1943 e il 1945 era un grande peso da rimuovere. Si faceva fatica ad accettare che anche la Repubblica Sociale fosse storia nostra, storia del nostro Paese. E che gli odiati fascisti di Salò fossero italiani “e non fantasmi partoriti dall’inferno”. Tuttavia lui riteneva che può esserci una narrazione collettiva, momenti in cui è possibile delineare una storia di tutti; ma questa va individuata nella loro realtà e non solo nelle mere e artificiose cerimonie istituzionali.
Di “memoria condivisa” e di riconoscimento delle “ragioni dei vinti” parlò anche Violante. E per qualche tempo ci siamo illusi che si potesse ritrovare una storia comune e, insieme, riformare la Repubblica. Purtroppo ciò non è ancora avvenuto, ma non rassegniamoci.
Quindi, cari studenti, termino facendovi un invito: le poesie e i teoremi si imparano a memoria in modo acritico, la storia (soprattutto quella recente) approfonditela in maniera critica scavando alla ricerca della verità.

Andrea Cassani

Gallarate, 25 Aprile 2017

Al contestato intervento del Sindaco, è seguito quello dell’Oratore ufficiale designato, Avv. Francesco Giambelluca, di Anpi Pavia:

 

ORAZIONE UFFICIALE DI FRANCESCO GIAMBELLUCA

 

Siamo qui per festeggiare la liberazione dal Nazifascismo.

Questa festa del 25 aprile non è semplicemente il ricordo dei morti che eroicamente lottarono per la liberazione del Paese.

La presenza infatti di ciascuno di noi alle diverse manifestazioni è un modo per salvaguardare, accrescere ed esercitare la libertà a tanto caro prezzo riconquistata.

Siamo qui per dire, anche fisicamente: la libertà mi riguarda, è anche mia, è di tutti, ma soprattutto:

– non è stata un regalo;

– non è scontata nel suo valore e nel tempo.

Non è stata un regalo perché ci è stata tolta con la forza anche per l’inerzia e la complicità di molti, di troppi che non si resero conto del bene prezioso che veniva sacrificato.

Tra il 1919 e il 1921, durante una crisi economica e a fronte di rivendicazioni sociali da parte degli strati più umili della popolazione duramente provati dalla carneficina della Prima Guerra Mondiale da poco terminata, sorsero le squadracce fasciste: una risposta violenta e liberticida a problemi complessi da risolvere.

Molti si illusero, nel 1922, di affidarsi alla scorciatoia del fascismo per mettere ordine nella società, per superare un momento di crisi, nella erronea convinzione da una parte di mettere a tacere le diseguaglianze sociali negando loro cittadinanza e possibilità di rivendicazione e dall’altra che si sarebbe comunque trattato di una breve parentesi, per poi tornare alla fragile democrazia liberale.

Errore gravissimo!

La libertà, una volta messa da parte, non ritorna certamente da sola!

Non solo: il fascismo, di cui noi Italiani siamo stati i primi artefici, dilagò in Europa, a partire dalla Germania e dalla Spagna, ma sarebbe durato oltre venti anni.

Venti anni di oppressione, di mancanza di libertà, di delitti politici, di ingiustizia eretta a sistema attraverso la sistematica negazione dei più elementari diritti all’interno e all’esterno del paese, attraverso le criminali campagne coloniali promosse dall’italietta fascista.

Il tutto con la inerte complicità di un casato regnante tra i più vergognosi al mondo: Casa Savoia. Non solo il Re Vittorio Emanuele III spianò la strada del Governo ad un partito senza voti e senza maggioranza in parlamento, sull’esclusiva spinta della violenza, ma avallò ogni sua scelta fino al 25 luglio 1943.

Nemmeno Mussolini avrebbe mai aspirato a tanto. Persino lui pensava che la monarchia avesse un minimo di serietà e, a fronte della marcia su Roma, si guardò bene dal parteciparvi, nella convinzione di essere arrestato. Per questo la notizia dell’incarico per la formazione del governo lo raggiunse a Milano mentre era pronto a riparare in Svizzera!

Viene in mente la frase di Enzo Biagi: l’Italia ha avuto una sola rivoluzione e il protagonista l’ha fatta in vagone letto!

Fatto il Governo Mussolini non ci fu scelta ostacolata o impedita dal Re:

– legge Acerbo: una legge elettorale che attribuiva i 2/3 dei seggi alla prima lista che avesse superato il 25%;

– omicidio di Don Minzoni;

– omicidio di Giacomo Matteotti, per aver denunciato le violenze e i brogli nelle elezioni del 1924;

– scioglimento dei partiti politici e soppressione della libertà di stampa;

– pestaggio selvaggio che condusse brevemente alla morte Piero Gobetti;

– pestaggio violento di Giovanni Amendola, morto di lì a poco;

– Tribunale speciale: condannò 15.000 oppositori politici ad anni ed anni di galera o di confino solo per le loro idee (decine di condanne a morte e centinaia i morti durante l’internamento o il confino);

– soppressione delle libere elezioni;

– persecuzione e assassinio dei Fratelli Rosselli;

– incarcerazione di Antonio Gramsci, che morì in carcere;

– leggi razziali e tribunale della razza;

– persecuzione degli ebrei;

– entrata in guerra con la Germania Nazista…

Non solo l’entrata in Guerra non scalfì l’inerzia del sovrano, ma neppure le pesanti sconfitte del 1943, lo sbarco degli alleati in Sicilia e il bombardamento del quartiere San Lorenzo a Roma.

Ci volle il Gran Consiglio del Fascismo, nella drammatica notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943, a sfiduciare di fatto Mussolini e indurlo alle dimissioni (19 a 7 il voto).

Ma non fu certo la caduta di Mussolini a riscattare la dignità della corona: l’8 settembre, come tutti sappiamo, il Re fugge a Pescara e lascia l’esercito senza ordini, consentendo così l’occupazione di gran parte dell’Italia ai nazisti.

La fine ingloriosa di un piccolo monarca venne poi sancita dal popolo italiano con il referendum del 2 giugno 1946.

In mezzo, tuttavia, ci fu una stagione drammatica e gloriosa, ovvero la Resistenza: due anni in cui il Popolo Italiano riscattò se stesso, a partire dagli scioperi di Milano e Torino del marzo 1943, quando lo sciopero veniva considerato un atto di sabotaggio bellico e quindi un’azione eversiva, fino all’insurrezione generale del 25 aprile 1945.

Mesi durissimi, durante i quali migliaia di giovani, cresciuti nell’oppressione della dittatura fascista, risposero all’imperativo della propria coscienza che imponeva loro di ribellarsi. Di salvare la dignità dell’Italia attivandosi in prima persona per contribuire alla cacciata dell’invasore straniero e del governo fantoccio dei fascisti di Salò ma anche alla costruzione di uno Stato e di una società più equi, fondati su basi nuove.

Questo non sarebbe stato certamente possibile senza l’appoggio di vasti strati della popolazione che a costo della vita fornirono informazioni, nascondigli, cibo, vestiario e contribuirono così da una parte a rafforzare la Resistenza e dall’altra a sabotare il nemico nazifascista.

Questi Italiani, grazie ai quali possiamo essere qui e parlare in uno Stato libero e democratico, capirono l’importanza di far sì che il paese nel quale il fascismo era nato desse prova di un desiderio di libertà troppo a lungo sopito, dimostrando che ci sono momenti in cui si deve essere padroni del proprio destino, e che il futuro, per avere una prospettiva, non può essere concesso dall’esterno, ma deve avere una forza vitale che deriva dalle scelte di campo compiute da ciascuno nel momento della prova.

Una prova durissima: torture, rastrellamenti, fucilazioni, rappresaglie feroci, autentiche carneficine da parte di un regime brutale privo della seppur minima considerazione della vita umana.

Quando si vogliono equiparare i morti della Resistenza e i morti della RSI, cancellando la storia e confondendo le vittime con i carnefici, non si può dimenticare chi combatteva, con posizioni politiche anche diversissime, per la libertà di tutti e chi invece combatteva per negarla, quella libertà.

Non si possono dimenticare le parole di chi partecipò in prima persona, per esempio Luciano Lama: “Prima di giudicare però si deve sapere cosa accadde davvero. Una guerra qualunque può forse finire con il “cessate il fuoco”. Quella no. La Resistenza fu una battaglia terribile, disperata e atroce. Vivevamo nascosti nelle buche dei campi di granoturco, eravamo circondati da nemici: non erano solo tedeschi e fascisti, c’erano le spie, ti potevano tradire in ogni momento. Vedevamo sparire i nostri compagni, fucilavano famiglie intere. Eravamo sopraffatti dal dolore, dalla rabbia… Altrimenti non avremmo potuto… Non saremmo riusciti a sparare a chi ci guardava in faccia. Una cosa è tirare una cannonata, un’altra è uccidere chi ti sta di fronte. Ripugna. Si può fare solo se ci si crede ciecamente. Aiutano l’odio, la paura, l’utopia.”

Oltre 100.000 partigiani parteciparono in armi alla resistenza, molti altri contribuirono con appoggio logistico.

Oltre 40.000 caddero in combattimento. Oltre 15.000 persone morirono nelle 400 stragi nazifasciste.

Un ruolo attivo ebbero le donne, che con la partecipazione a pagine eroiche della Resistenza, non solo lottarono per ritrovare la libertà, ma perseguirono la conquista dei diritti politici sempre negati fino a quel momento.

Il contributo delle formazioni partigiane ebbe quindi un deciso ruolo non solo dal punto di vista morale, del riscatto della dignità e dell’elaborazione delle idee su cui fondare una società rinnovata, ma anche dal punto di vista militare.

Ben 6 divisioni tedesche su 26 vennero tenute impegnate per mesi dalla guerra partigiana.

Molte città, tra cui Milano, vennero liberate dai partigiani prima dell’arrivo delle forze alleate, perché, come recitava il proclama del comitato di liberazione nazionale alta Italia, “Bisogna dire alle masse che la libertà va conquistata con le nostre forze e non ricevuta in dono dagli alleati”.

Il riconoscimento dell’apporto militare della guerra partigiana è esplicito da parte della Special Force britannica che, nel suo rapporto dell’aprile 1945, afferma: “le armate alleate non avevano più nulla da fare se non muoversi nelle città già liberate e aiutare i partigiani a snidare definitivamente guarnigioni isolate”; “il contributo partigiano alla vittoria alleata in Italia fu assai notevole tanto da superare di molto le più fiduciose aspettative. Con la forza delle armi i partigiani aiutarono a stroncare la potenza e il morale di un nemico molto superiore a loro per numero; senza queste vittorie dei partigiani non ci sarebbe stata in Italia una vittoria alleata così rapida, così schiacciante, così a buon mercato”.

La mattina del 24 aprile il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia proclamò per il 25 l’insurrezione generale. La stazione radio di “Milano libera” trasmise questo messaggio: “Il Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia invita all’insurrezione in tutte le città e le province, per cacciare gli invasori e i loro alleati fascisti, e per porre le basi di una nuova democrazia, che sarà l’espressione della volontà popolare”.

Proprio per questo il lascito dei Partigiani non può esaurirsi nella vittoria della guerra di liberazione, nel riscatto dell’Italia migliore dopo gli anni bui della connivenza e della vasta obbedienza al regime fascista, nell’apporto militare alla cacciata dell’occupante nazista e alla destituzione del fascismo.

La forza vitale della Resistenza che arriva fino ad oggi discende dalla lungimiranza dei Partigiani che ebbero la capacità di guardare ad un orizzonte ben più vasto rispetto alla sola fine della guerra e discende altresì dalla forza intrinseca delle loro idee e dei loro valori, capaci di imporsi quali basi per la costruzione di una società più equa.

Anzitutto capirono la necessità di una “rottura costituzionale”, volta a fondare un nuovo ordinamento democratico su basi diverse e non solo a riprendere il vecchio sistema istituzionale come avrebbero preteso coloro che invece vedevano nel fascismo una semplice parentesi da chiudere, per quanto nefasta.

Per questo motivo sorse l’esigenza di una nuova Costituzione.

Nuova nei contenuti, nuova nella legittimazione popolare e nuova nei suoi autori.

Uomini e donne reduci da una dura lotta, uomini reduci da decine di anni di carcere o di confino solo per le proprie idee politiche!

Essi vollero quindi non più una carta “octroyé”, concessa per grazia di un sovrano (peraltro all’epoca solo re di Sardegna), ma una libera scelta dei cittadini, scritta dai rappresentanti di tutte le culture del paese, scelti con metodo democratico e proporzionale, al fine di rispecchiare le posizioni di tutti, dare spazio a tutte le voci e non alterare il peso effettivo del voto popolare, finalmente davvero universale e quindi esteso anche alle donne.

Ma la forza vitale della carta costituzionale non risiede solo nella vastissima legittimazione popolare dell’assemblea che la redasse, approvandola a larghissima maggioranza. Essa si fonda nella prudenza e nella scrupolosa attenzione che le forze costituenti misero nella sua formulazione. Tutti lavorarono per dare un senso effettivo alla prima delle funzioni attribuite ad una costituzione, ovvero quella di porre un limite al potere di chi governa. Cardine senza il quale la costituzione ricadrebbe fatalmente nella fragilità dello statuto albertino, rivelatosi argine assai debole al dilagare di una feroce dittatura.

L’altra scelta di profondo significato dei costituenti è l’aver optato per una cosiddetta “costituzione lunga”, ovvero in un ampio catalogo di diritti fondamentali accompagnati da norme giuridiche che non si limitano a impedire o a vietare la violazione di tali diritti ma impegnano la Repubblica (nelle sue diverse articolazioni) a promuoverne attivamente il perseguimento e l’estensione.

Una Costituzione quindi che garantisce le libertà di tutti, tranne una: quella di calpestare la libertà degli altri. Essa infatti dà spazio ad ogni manifestazione del pensiero ma vieta espressamente la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista.

Per questo motivo suonano attualissime le parole del grande Giurista Piero Calamadrei:

“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione (Milano, 26 gennaio 1955).”

E sempre con una sua bellissima poesia vogliamo concludere:

LO AVRAI CAMERATA KESSELRING IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRA’ A DECIDERLO TOCCA A NOI NON COI SASSI AFFUMICATI DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO NON COLLA TERRA DEI CIMITERI DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI RIPOSANO IN SERENITA’ NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI CHE TI VIDERO FUGGIRE MA COL SILENZIO DEI TORTURATI PIU’ DURO D’OGNI MACIGNO SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO GIURATO FRA UOMINI LIBERI CHE VOLONTARI SI ADUNARONO PER DIGNITA’ NON PER ODIO DECISI A RISCATTARE LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE AI NOSTRI POSTI CI RITROVERAI MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO CHE SI CHIAMA ORA E SEMPRE RESISTENZA

Piero Calamandrei

ORA E SEMPRE RESISTENZA!!!

Francesco Giambelluca

Gallarate, 25 Aprile 2017

 

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