Conflitto italiano

Conflitto italiano

Riceviamo e pubblichiamo. Dall'Anpi Saronno (Claudio Castiglioni)

Ma gli antirazzisti sanno cosa pensiamo?

12-11-2009

di Cleophas Adrien Dioma

“Noi sappiamo. Abbiamo studiato, abbiamo letto, conosciamo tanti immigrati. Sappiamo. Sappiamo cosa vuole dire essere immigrato, cosa vuole dire essere clandestino. Cosa vuole dire vivere lontano da casa sua”. Gli esperti d’immigrazione. Quelli che hanno scritto. Quelli che hanno viaggiato. Quelli che lottano per i poveri negri, marocchini, albanesi. Quelli che lottano per noi poveri immigrati. In quasi undici anni in Italia, ho partecipato a tante manifestazioni. Manifestazioni antirazziste, contro la legge Bossi-Fini, contro…. Ho partecipato a tanti incontri, riunioni, conferenze. Abbiamo occupato case. Per lungo tempo ho pensato che facevo parte di una comunità che lottava per un certo ideale. “Hasta la victoria siempre. Tous pour un, un pour tous”. Qualche volta ho cercato di dire la mia. Di dire quello che pensavo. Quello che poteva essere il mio punto di vista su come si lottava. Sul perché. Ho cercato anche di esprimere le mie perplessità su certe situazioni e azioni di questi comitati e realtà che lottavano per l’immigrato che ero. Forse era meglio stare zitto. Il mio amico Lampo mi ha detto una volta che ha più paura degli antirazzisti che dei razzisti. Per lui con i razzisti il conflitto è più onesto. Lo sai. Sai che non ti vogliono. Sai cosa pensano di te. Con gli antirazzisti non si sa mai. Cosa porta una persona a essere non razzista? L’amore dell’altro? Il sogno di vivere in un mondo di uguaglianza? La giustizia? E poi? In questi undici anni ho visto il mondo dell’immigrazione occupato da persone non immigrate. Parlano nel nostro nome. Parlano delle nostre cose. Presentano libri scritti sulle nostre storie. Video sui nostri drammi. Alzano la mano al posto nostro. Quasi vivono la nostra vita. Conoscono talmente le nostre cose che non hanno neanche più bisogno di noi. Abbiamo organizzato a Parma il 24 e 25 ottobre le giornate “Alzo la Mano”. Undici giornalisti e scrittori della rivista Internazionale, undici uomini e donne immigrati che scrivono. Che si confrontano con il “conflitto italiano”. Undici persone che hanno origini e storie diverse l’uno dall’altro. Due giorni per confrontarsi con la gente, la città. La politica. Hai visto qualcuno? C’era la possibilità di parlare con lo scrittore clandestino, con la professoressa d’università precaria, con l’immigrato contrario al diritto di voto agli immigrati. Di persone che hanno avuto una storia di migrazione qualche volta complessa e che con la forza, il sogno, la voglia di arrivare sono diventati testimoni della loro realtà. Durante questi due giorni, abbiamo parlato di cittadinanza, di diritti, di doveri, delle seconde generazione, di lavoro, di scuola, di politica. Ma non abbiamo visto nessuno degli esperti d’immigrazione. A me suona strano. È abbastanza difficile capire qual è il problema? Come mai è difficile avere il tempo di conoscere l’altro? Di parlare con lui? Di ascoltare un’opinione diversa della sua? Poi vedo in giro le solite manifestazioni e i soliti eventi. Le solite persone che parlano d’immigrazione, di cittadinanza. D’intercultura. La meme chose. Il mio amico Gianluca mi parla sempre del fare le cose insieme. Ma di cosa possiamo parlare insieme quando sappiamo già. Quando abbiamo già le nostre convinzioni e le nostre certezze. Quando lavoriamo talmente tanto che abbiamo solo tempo di fare le nostre solite cose. Quando facciamo fatica ad ascoltare voci altre. Quando siamo chiusi nel piccolo cerchio con le solite persone. Per parlare insieme bisogna sapere di cosa vogliamo parlare. Bisogna prima sapere (anche se sembra una cosa banale) chi siamo. Qual è la nostra storia. Perché siamo. E poi almeno avere un progetto condiviso. Una strategia. Un’idea. Bisogna avere il tempo di ascoltare l’altro anche quando non si è d’accordo. Gli immigrati sono prima delle persone che decidono, scelgono. Vivono. Sembra una cosa scontata ma non la è. Non è scontato. Se in una città come Parma, parlano sempre le solite persone, parla sempre e ancora Cleo, vuole dire che qualcosa è andato storto. Ma perché nessuno si fa questa domanda? Perché non ha funzionato? Perché non funziona? Lo so è più facile fare che farsi delle domande e avere il tempo di cercare delle risposte. Ma io credo che per essere antirazzisti non basta soltanto partecipare a incontri e riunioni antirazziste con persone che si conoscono e la pensano alla stessa maniera. Non basta partecipare alle solite manifestazioni. Non basta aspettare che picchino un ragazzo africano per alzare le bandiere e andare in piazza. Non basta organizzare le solite conferenze e i soliti eventi con le solite persone che vengono a dire le solite cose che tutti noi sappiamo. Non basta fare le solite inchieste con le solite domande. Non basta avere un amico straniero e/o lavorare dentro una struttura che si occupa di stranieri. Non basta viaggiare. Non basta leggere. Non basta scrivere. Forse bisogna fermarsi a chiedersi chi è l’immigrato di adesso. L’immigrato appena arrivato ma anche l’immigrato che vive in Italia di più di dieci anni. L’immigrato che lavora, l’immigrato che studia. L’immigrato che fa politica. L’immigrato di destra. L’immigrato di sinistra. L’immigrato che ha famiglia, figli. L’immigrato che scrive. L’immigrato che qualche volta la pensa diversamente da te. Bisogna accettare l’altro com’è. Rispettarlo. Lasciarlo parlare anche quando parla troppo o forse male. Anche quando non sei d’accordo. Bisogna ascoltarlo. Noi abbiamo deciso di alzare la mano per farci sentire. Abbiamo deciso di prendere la parola nel rispetto della legge e degli usi del nostro nuovo paese. Siamo li e aspettiamo tutti coloro che credono di poter fare qualcosa insieme. Insieme, insieme alle nostre differenze.

 

Cleophas Adrien Dioma è nato a Ouagadougou (Burkina Faso) nel 1972. Vive a Parma. Poeta, fotografo, video documentarista è direttore artistico del festival Ottobre Africano. Collabora con “l’Internazionale” e “Solidarietà Internazionale”

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